CENTO DOMENICHE
Insolita incursione di Antonio Albanese – qui regista e protagonista – nel dramma sociale, Cento domeniche delinea con implacabile precisione lo sfaldamento di un sogno, quello di una realizzazione borghese che viene colpita proprio nel suo approdo finale (il matrimonio dei figli). Un processo reso in modo intenso e partecipato, per un’opera che colpisce duro. Nella sezione Grand Public della Festa del Cinema di Roma.
Il crudele sfaldamento di un sogno
A margine di una carriera da attore sempre molto attiva (la sua ultima interpretazione, quella di Grazie ragazzi, risale a meno di un anno fa) era da un po’ di tempo che Antonio Albanese non si cimentava con la regia, specie con quella cinematografica. Con questo Cento domeniche, tuttavia, l’ex spalla della Gialappa’s di Mai dire gol, ed ex istrionico volto di Cetto La Qualunque e di tanti altri personaggi similari, sembra voler compiere un’operazione più radicale rispetto a quelle delle sue regie precedenti: il film, presentato in anteprima nella sezione Grand Public della 18a Festa del Cinema di Roma, prende infatti esplicitamente di petto il genere del dramma sociale, raccontando una storia che muove da una situazione di tranquillità familiare e comunitaria che viene progressivamente violentata e stravolta. Una scelta di campo insolita – anche laddove i temi sociali, si veda l’immigrazione nel precedente Contromano, sono in realtà tutt’altro che alieni per il cinema di Albanese – che si accompagna a una lettura del suo personaggio che rivela, qui, un’inedita misura: quasi un pudore in partenza, diremmo, in una caratterizzazione dapprima all’insegna dell’understatement, che rende ancor più stridente quella che sarà la drammatica evoluzione del racconto e del personaggio stesso.
Il crollo del “confessionale”
Al centro della trama di Cento domeniche, ambientata in un’imprecisata, tranquilla città di provincia, c’è il personaggio di Antonio, interpretato dallo stesso regista: arrivato al pre-pensionamento, dopo aver lavorato per decenni come tornitore nella fabbrica locale, l’uomo riceve la bella notizia che sua figlia Emilia sta per sposarsi col suo compagno. Sia Antonio che la sua ex moglie, con cui l’uomo è rimasto in ottimi rapporti, sono felicissimi per la ragazza: Antonio, tuttavia, è irremovibile nella decisione di farsi carico interamente dei costi del ricevimento di nozze, per organizzare il quale decide di impiegare i risparmi che ha depositato nella banca locale. Quando si reca nell’istituto spiegando di aver bisogno di liquidità, tuttavia, Antonio si trova di fronte al fare evasivo del nuovo direttore, che lascia presagire che la banca stia attraversando un periodo non proprio positivo. Mentre le voci su una crisi dell’istituto si rincorrono, e i giornali dipingono un quadro fosco, l’uomo è sempre più preoccupato: ma Antonio non può credere che la banca del paese, che per decenni ha retto da sola l’economia locale – ed era per i correntisti come “un confessionale” – possa essere sul punto di fallire. Tuttavia, i fatti si incaricheranno presto di smentire il suo ottimismo.
Un illusorio Eden di provincia
Quello che Albanese delinea nella fase iniziale di Cento domeniche è un quadro familiare e di provincia che dapprima si caratterizza all’insegna di una placida, quasi idilliaca tranquillità: viene in mente a questo proposito il Jim Jarmusch di Paterson, nella descrizione di una realtà comunitaria e piccolo borghese guardata con affetto, tra un contesto di fabbrica in cui datore di lavoro e operai hanno un rapporto rilassato e di complicità quasi familiare (e condividono l’avversione contro i “pignoli” ispettori del lavoro), in cui il circolo bocciofilo locale è insostituibile luogo di scambio e convivialità – in cui però si rifiuta di partecipare a tornei nazionali, perché altrimenti “salirebbe la tensione e ci divertiremmo di meno” – e in cui la solidarietà intergenerazionale, con i vecchi operai della fabbrica che insegnano il mestiere ai giovani – oriundi del posto o immigrati che siano – è un dato di fatto. Una realtà, quella messa in scena nel film – e incarnata in modo quasi emblematico dal personaggio di Antonio – di raggiunta, tranquilla soddisfazione e autorealizzazione, in cui si accettano senza patemi d’animo gli inciampi della vita (tra cui un divorzio e un rapporto extra-coniugale vissuto con discrezione) e i risultati dello scorrere del tempo (la ridotta autosufficienza della madre del protagonista). Il contesto di una comunità retta da un’apparente, solida fiducia reciproca, che ha nello stesso istituto bancario uno dei suoi centri principali. Proprio lo stesso da cui nascerà il progressivo sfaldarsi di tutto, non solo per il protagonista.
“È come un bugia, un sogno che non si realizza? O è qualcosa di peggio”?
Colpisce duro, Cento domeniche, per come quello stesso, apparente Eden di provincia descritto nelle fasi iniziali viene via via destabilizzato, principalmente agli occhi dello stesso protagonista: un personaggio, quello di Antonio, che lo stesso Albanese interpreta con apprezzabile misura e ottima versatilità. Il sogno di realizzazione borghese del vecchio operaio e padre, perseguito attraverso una vita di sacrifici fatti con ottimistica fiducia, viene distrutto proprio nel suo coronamento ultimo: quello della gioia – inseguita fin da quando la ragazza era bambina, in un’aspirazione condivisa da padre e figlia – di vedere finalmente il matrimonio di sua figlia, prodromo di una possibile vecchiaia serena e senza sorprese. Quel tranquillo e appagante sogno, per il protagonista, viene crudelmente rovesciato proprio in vista del suo approdo finale, con lo svelamento che quel tessuto sociale così accogliente, in fondo, non era estraneo dall’egoismo, che la banca-confessionale era in realtà un covo di squali pronti ad approfittarsi di ignari e fiduciosi clienti, e che il principale della fabbrica, atteggiatosi a capo di famiglia, era in realtà egli stesso un approfittatore, capace di uscire dalla crisi cadendo in piedi. La sceneggiatura descrive lo sfaldamento di questo sogno illusorio con apprezzabile (ma implacabile) gradualità, facendo montare una tensione quasi sotterranea, tutta espressa sul volto sempre più teso e scavato del protagonista. Un meccanismo ben oliato che esplode negli ultimi, tesissimi minuti, e che fa dimenticare senza problemi qualche linea narrativa forse non sufficientemente approfondita (l’irrisolto, nuovo rapporto sentimentale del protagonista). Questa incursione nel dramma sociale dell’attore/regista, proprio in virtù del crescendo emotivo che caratterizza la sua ora e mezza di durata, ha colpito decisamente nel segno.
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Scheda
Titolo originale: Cento domeniche
Regia: Antonio Albanese
Paese/anno: Italia / 2023
Durata: 94’
Genere: Drammatico
Cast: Bebo Storti, Antonio Albanese, Maurizio Donadoni, Nicola Rignanese, Donatella Bartoli, Sandra Ceccarelli, Elio De Capitani, Federica Fracassi, Liliana Bottone, Sandra Toffolatti, Alessandro Piavani, Giulia Lazzarini, Luca Nucera, Marianna Folli, Martin Chishimba, Stefano Braschi
Sceneggiatura: Antonio Albanese, Piero Guerrera
Fotografia: Roberto Forza
Montaggio: Davide Miele
Musiche: Giovanni Sollima
Produttore: Carlo Degli Esposti, Dario Fantoni, Nicola Serra
Casa di Produzione: Vision Distribution, Leo Production, Palomar
Distribuzione: Vision Distribution
Data di uscita: 23/11/2023