ADAGIO

ADAGIO

Chiusura delle “trilogia romana” di Stefano Sollima dopo A.C.A.B. - All Cops Are Bastards e Suburra (e memore ovviamente della serie Romanzo criminale), Adagio è un noir distopico visivamente accattivante, che tuttavia si rivela narrativamente difettoso e troppo esile nella definizione dei suoi personaggi. Purtroppo, per il regista romano, un’occasione sostanzialmente mancata. In concorso a Venezia 80.

Streets of Fire

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Dopo le due trasferte americane di Soldado e Senza rimorso, Stefano Sollima torna con Adagio alla “sua” Roma, quella che aveva introdotto sul piccolo schermo con la celeberrima serie Romanzo criminale – tra adattamento letterario e spaccato antropologico – e aveva poi portato al cinema coi successivi A.C.A.B. – All Cops Are Bastards e Suburra. Un ritorno che è anche quello alle atmosfere più improntate al noir care al regista romano, calate negli umori di una capitale che qui si colora (letteralmente) di tonalità distopiche: in questo nuovo lavoro di Sollima, in concorso all’80esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, la città è infatti isolata dal resto del paese da una serie di incendi di cui non viene specificata l’origine, mentre la rete elettrica è soggetta a continui e improvvisi blackout. In questo scenario si muove il giovane Manuel, figlio di un vecchio malavitoso ormai affetto da demenza senile, che finisce suo malgrado in un affare più grande di lui; il ragazzo, trovato in possesso di pochi grammi di droga, viene infatti ricattato da due carabinieri corrotti che lo incaricano di girare un video a un misterioso individuo durante un party. Accortosi della presenza di telecamere nel locale, tuttavia, Manuel si dà alla fuga, trovandosi così braccato dai militari che vorrebbero metterlo a tacere; l’unico modo per venir fuori dai guai sarà quello di rivolgersi a due vecchie conoscenze di suo padre, da tempo a loro volta fuori del giro criminale.

Distopia unica via?

Adagio, Gianmarco Franchini in una scena del film di Stefano Sollima
Adagio, Gianmarco Franchini in una scena del film di Stefano Sollima

Fa piacere, da un lato, che un regista dall’indubbio talento visivo come Sollima sia tornato a territori a lui più congeniali, mescolando il realismo noir in cui più volte, in passato, si era trovato a suo agio (citeremmo anche la regia della prima stagione di Gomorra – La serie) con un impianto distopico che visivamente ha il suo fascino e la sua efficacia: il primo totale ripreso dall’alto della città, con le fiamme in lontananza e l’effetto dei blackout, rappresenta certo un’ottima introduzione alle atmosfere del film, così come funzionano decisamente bene alcune soluzioni visive – che ovviamente evitiamo di anticipare – nella frazione finale. È interessante, a questo proposito, come negli ultimi anni si sia affermato una sorta di filone – qualcosa di simile a un sottogenere – che lega proprio le atmosfere più improntate al noir a una rappresentazione (limitatamente) distopica della vita della capitale, in cui si vede un tessuto sociale modificatosi quel tanto che basta per diventare cinematograficamente efficace: la mente corre al cult contemporaneo Lo chiamavano Jeeg Robot (risalente ormai a otto anni fa) con la paventata minaccia terroristica che mette in scena, o a un horror che della città stessa fa una sorta di co-protagonista come il notevole Piove; ma anche alla commedia corale di un anno fa Siccità, la cui rappresentazione – pur nell’ovvia diversità di atmosfere – si nutre in fondo di inquietudini analoghe a quelle dei titoli sopra citati. Un solco in cui Adagio si inserisce agevolmente, grazie anche al phisique du rôle (e all’attitudine nutrita dai tanti ruoli analoghi) di tre interpreti come Toni Servillo, Valerio Mastandrea e Pierfrancesco Favino.

La (deludente) gestione delle psicologie

Adgio, Toni Servillo in una scena del film di Stefano Sollima
Adgio, Toni Servillo in una scena del film di Stefano Sollima

Va sottolineato tuttavia che, malgrado le buone potenzialità di un soggetto che unisce suggestioni così composite – e la naturale attitudine al genere di Sollima – Adagio di fatto rinuncia quasi subito a qualsiasi velleità antropologica (pur nei limiti della rappresentazione di genere); il film si concentra infatti, principalmente, sulla morsa che si chiude progressivamente intorno al giovane protagonista, incastrato in primis dalla sua ingombrante storia familiare, e secondariamente da circostanze (il suo arresto) fuori dal suo controllo. A essere prediletta, sulla carta, è una dimensione personale e intima del racconto, oltre che un abbozzo di confronto intergenerazionale virato in noir, tutto espresso nei dialoghi tra il ragazzo e gli altri tre personaggi principali. Si resta tuttavia, spiace dirlo, nel campo delle buone intenzioni o poco più; ciò principalmente a causa di una sceneggiatura che sceglie di focalizzarsi sulle psicologie ma poi non riesce ad approfondirle al meglio, togliendo quasi subito di mezzo un personaggio (anche qui evitiamo di rivelare quale) e costruendo dialoghi deludenti a coinvolgere gli altri: criminali sul viale del tramonto che mancano della statura epica che questo tipo di narrazione richiederebbe. Non va molto meglio, d’altra parte, sul fronte dei “villain”, guidati da motivazioni non sempre chiarissime, con a capo un Adriano Giannini a cui lo script regala un background familiare che si rivela sorprendentemente privo di evoluzione.

Un impianto visivo accattivante per uno script poco convincente

Adagio, Adriano Giannini in una scena del film di Stefano Sollima
Adagio, Adriano Giannini in una scena del film di Stefano Sollima

Il principale punto debole di Adagio, quindi, sta in una sceneggiatura che resta in superficie, non riuscendo a dare sostanza al buon impianto visivo del film. Un peccato, perché non mancano invero le buone sequenze, nel film di Sollima – dalla suggestiva introduzione al già citato finale – mentre il regista dimostra ancora una volta, a più riprese, di saper maneggiare, dal punto di vista tecnico e del ritmo, il materiale che ha a disposizione. Si resta tuttavia perplessi (specie ricordando le caratterizzazioni dei già citati Romanzo criminale e Suburra) quando vengono sviluppati in modo così superficiale i personaggi di un anziano boss criminale preda di amnesie, di un vecchio sicario cieco suo sottoposto – che ha di fatto, nella trama, uno scopo unicamente “meccanico” – e di un altro criminale gravemente malato che cerca un’impossibile redenzione. Un potenziale drammaturgico sostanzialmente buttato al vento, che purtroppo confina Adagio nei limiti del prodotto di genere ben confezionato, privo però di un’adeguata consistenza narrativa. Un peccato, perché il talento di un regista come Sollima, ancora una volta, non ha trovato un soggetto capace di valorizzarlo al meglio.

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Locandina

Adgio, la locandina del film di Stefano Sollima

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Scheda

Titolo originale: Adagio
Regia: Stefano Sollima
Paese/anno: Italia / 2023
Durata: 127’
Genere: Drammatico, Poliziesco, Giallo
Cast: Pierfrancesco Favino, Valerio Mastandrea, Francesco Di Leva, Toni Servillo, Adriano Giannini, Lorenzo Adorni, Emilio Franchini, Gianmarco Franchini, Marzio El Moety, Silvia Salvatori
Sceneggiatura: Stefano Bises, Stefano Sollima
Fotografia: Paolo Carnera
Montaggio: Matthew Newman, Silvia De Rose
Musiche: Subsonica
Produttore: Lorenzo Mieli, Ludovico Purgatori, Stefano Sollima, Massimiliano Orfei
Casa di Produzione: The Apartment, AlterEgo, Vision Distribution
Distribuzione: Vision Distribution

Data di uscita: 14/12/2023

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Giornalista pubblicista e critico cinematografico. Collaboro, o ho collaborato, con varie testate web e cartacee, tra cui (in ordine di tempo) L'Acchiappafilm, Movieplayer.it e Quinlan.it. Dal 2018 sono consulente per le rassegne psico-educative "Stelle Diverse" e "Aspie Saturday Film", organizzate dal centro di Roma CuoreMenteLab. Nel 2019 ho fondato il sito Asbury Movies, di cui sono editore e direttore responsabile.

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